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“BATTERE 3-1 LA JUVENTUS È STATO MERAVIGLIOSO” – INTERVISTA ALL'EX DIFENSORE DAVIDE ZOBOLI
Intervista di Cristiano Cavallaro in collaborazione con IlTerzoTempo.net
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Generica - 29/06/2025
Davide Zoboli è un calciatore che non ha di certo bisogno di presentazioni. I tifosi del Brescia e del Modena non se lo dimenticheranno mai per via della sua leadership, abbinata ad un attaccamento a tutte le maglie che ha indossato con un orgoglio fuori dal comune. In una lunga intervista, abbiamo ripercorso i momenti più belli della sua carriera, come la Serie A ai tempi della Leonessa, e abbiamo parlato anche dei personaggi che sono stati più determinanti per la sua crescita da calciatore, come Zdenek Zeman, Serse Cosmi e Walter Novellino.
Ci teniamo, pertanto, a ringraziare vivamente Davide per la splendida opportunità concessaci e l’immensa disponibilità.
Partendo dai tuoi primi passi, sei passato dalla C2 alla Serie B tutto ad un tratto, trasferendoti dal Monza all’AlbinoLeffe nel mercato di gennaio della stagione 2003-2004. Come ti sei sentito in quel momento?
“Il Monza era in una fase delicata, infatti a fine stagione fallì. Quando mi è stato chiesto se volessi andare all’AlbinoLeffe, che era una neopromossa in Serie B, ovviamente non ho esitato. Avevo parlato con il direttore dei tempi, che mi aveva proposto di trascorrere 6 mesi in prestito in una squadra di C1 – il Prato se non ricordo male -, per poi approdare nel campionato cadetto in maglia bluceleste nell’annata seguente. Io ho risposto:”Vengo lì anche solo per imparare, perché mi sembra un’opportunità grossa”. Successivamente si sono incastrate diverse circostanze e ho giocato con i lombardi, compiendo poi nella stagione successiva il salto nella massima categoria con il Brescia”.
Il tuo primo campionato con la maglia del Brescia è terminato con un’amara retrocessione, in quanto la salvezza distava appena un punto. Cosa si prova, tuttavia, ad esordire in Serie A?
“E’ scontato dire che chiunque giochi a calcio sogni di esordire in Serie A. Lì, a Brescia, venivamo da una serie di risultati non particolarmente positivi, quindi debuttare in trasferta vincendo ad Udine è stato bello. Un po’ di mal di pancia lo avevo, però era già la quarta giornata, quindi avevo un po’ nasato quello che era il clima della massima categoria. Siamo retrocessi di un punto e, obiettivamente, questo mi brucia tuttora. Era il 2006, prima del caos di Calciopoli, e, con i punti che avevamo ottenuto – 41 -, al giorno d’oggi capita di arrivare anche a metà classifica. Saremmo stati, insomma, salvi da parecchio tempo”.
In quella partita, tra l’altro, l’Udinese di Spalletti scese in campo con giocatori come Di Natale, Iaquinta, Pinzi e non solo.
“Mi ricordo molto bene che avevano una squadra molto forte, quindi affrontare dei calciatori che fino a qualche mese prima vedevo soltanto in televisione è stato particolare. Diciamo che ero molto concentrato su altro”.
Hai segnato il tuo primo gol in Serie A contro il Cagliari, contribuendo ad ottenere una vittoria che mancava da 9 partite. Che soddisfazione è stata?
“Sì, è stato davvero bello. Penso che il primo gol in Serie A me lo ricorderò per tutta la vita, anche perché segnai di sinistro. Abbiamo pure vinto, quindi è stato doppiamente emozionante, anche se quel giorno sarei stato felice pure se avessimo perso”.
Hai citato prima ‘Calciopoli’: nella stagione 2006-2007 ti è capitato di battere 3-1 la Juventus di Deschamps. Cosa puoi dirci di quella gara?
“Se non è rimasta negli annali del Brescia, credo che poco ci manchi. Abbiamo giocato in campo neutro, a Mantova, ed è stata una partita meravigliosa: fece tre gol spettacolari Serafini. E’ stata una gara in cui è andato tutto bene, contro una signora squadra. Credo che chiunque abbia vissuto quel match se lo ricorderà ancora oggi”.
Quella partita era la seconda di Serse Cosmi sulla vostra panchina. Un altro mister che ha fatto una grandissima carriera e che hai avuto a Brescia è stato Zeman: hai qualche aneddoto su loro due?
“Vi terrei qua anche due giorni per raccontarveli tutti. Io e Serse avevamo un bellissimo rapporto: è una persona molto carismatica. Ti faceva stare bene, poi, quando le cose non andavano per il verso giusto, era abbastanza incisivo. Un aneddoto su tutti che posso condividere risale a quando eravamo in ritiro: mentre noi correvamo lui stava a bordo campo con le casse a mixare e a mettere la musica. Questo episodio secondo me descrive al meglio il personaggio, oltre all’allenatore. Zeman, invece, è esattamente come lo vedete in televisione. E’ arrivato a Brescia in un momento difficile, quindi non ha avuto un impatto significativo sulla squadra e non c’è stato un gran feeling. Come persona, però, non posso dire niente: va avanti con le sue idee e non è mai sceso a compromessi. E’ stato l’unico mister che ho mandato a quel paese nella mia carriera, ma non ce l’avevo con lui, bensì con il presidente. Era la stagione successiva alla retrocessione e vedevamo che si stava sgretolando una possibilità di risalire subito, quindi eravamo un po’ frustrati. Io e Zeman, ad ogni modo, ci siamo incontrati nuovamente negli anni successivi e sono partite delle grosse risate. Ho una storiella divertente anche su di lui. Noi ci allenavamo tutti i giorni e facevamo due doppie sedute a settimana. Tutte le mattine ci pesavamo, quindi entravamo in questo spogliatoio di 4 metri quadrati. C’erano dentro lui, i due vice e il preparatore atletico: fumavano tutti e quattro. Tu uscivi da lì e sembrava che fossi stato a ballare per quattro ore in una discoteca. Sapevi di posacenere usato”.
Cambiando tema, a causa del fallimento, il Brescia rischia di ripartire dall’Eccellenza. Come ti fa sentire ciò?
“Ad essere onesto, quando sono andato via da Brescia ci sono rimasto un po’ male, perché non avrei voluto abbandonare la città in quel modo, ma forse sono io un po’ troppo romantico. Si era parlato di un possibile rinnovo, ma io mi ruppi il ginocchio l’ultimo anno. Ho giocato più di 200 partite in biancazzurro però, quindi, come ti dicevo, mi attendevo un trattamento un pochino migliore, ma sicuramente sbagliavo io. Mi dispiace, perché la Leonessa ha una tifoseria con la quale noi avevamo un rapporto piuttosto stretto. Qualche supporter lo conoscevo di vista, mentre con altri mi sento al telefono ogni tanto: hanno una passione viscerale. Purtroppo, però, già prima dell’arrivo di Cellino sono state fatte tante promesse – come lo stadio, per esempio – che non sono mai state mantenute. Credo che si tratti di una piazza davvero calda, anche se purtroppo non è così ampia, come quella dell’Atalanta, i loro cugini odiati. I bergamaschi hanno anche loro una tifoseria dello stesso tipo, ma coinvolge molte più persone della città, a differenza di Brescia, più limitata alla parte della curva e degli ultras. Nonostante sia la seconda provincia più grande d’Italia, ha delle squadre vicine, come il Lumezzane e la FeralpiSalò, che sono parte della provincia, ma sono completamente staccate dalla realtà che ho vissuto anche io. Bergamo, invece, è molto più concentrata sull’Atalanta. Anche col Modena siamo passati da un fallimento ed io avevo finito il contratto, quindi mi dispiaceva perché lì ci ho lasciato il cuore. Mi auguro che a Brescia riescano a risolvere la situazione, anche se la vedo dura. Sicuramente la Serie B è andata, speriamo si possa salvare almeno il professionismo – so che ci sono delle operazioni in pista -”.
Durante la tua carriera hai avuto modo di marcare diversi giocatori formidabili, come Zola, Shevchenko, Del Piero, Inzaghi, Gilardino, Trezeguet, Toni e tanti altri. Chi è stato il più scomodo e perché?
“Questa è una domanda che mi fanno spesso. Non ho incrociato Ibrahimovic, perché quando lui giocava io ero in panchina, ma l’attaccante che più mi ha impressionato e che più ho fatto fatica a marcare è stato Pippo Inzaghi. Era fastidiosissimo. Mi faceva venire il mal di testa: non stava mai fermo, sembrava un gatto. Poi diciamo che io strutturalmente sono un po’ diverso, quindi mi trovo leggermente meno in difficoltà a stare addosso a gente un po’ più fisica e statica. Lui era davvero scomodo: arrivava la palla e c’era sempre lui. Davvero devastante. Un istinto mai visto”.
A Brescia hai giocato con De Zerbi e Possanzini: ti aspettavi potessero fare carriera come allenatori?
“Ad essere sincero, no. Io e Davide ci conoscevamo dai tempi dell’AlbinoLeffe, quindi avevamo un ottimo rapporto – ci eravamo sentiti anche prima che lui venisse a Brescia -. E’ sempre stato un grandissimo professionista, poi ha avuto problemi di cuore e ha dovuto smettere relativamente presto. Era un leader e infatti ha fatto il capitano, però onestamente ai tempi non l’avrei visto su una panchina, nonostante anche in campo fosse uno che dettava le giocate. Lo stesso vale per Roberto, con cui non ho giocato tantissimo, ma era veramente fortissimo: classico numero 10, un genio. E’ uno dei migliori allenatori che ci sia in piazza adesso, è uno che vive di calcio e che si è dimostrato un innovatore, perché ha realizzato cose meravigliose negli ultimi anni. Ciò che mi crea dispiacere per De Zerbi è che in Italia non riusciamo a valorizzare i nostri prodotti – tecnici compresi -. I risultati della Nazionale poi si vedono…”
Cos’hai provato quando sei tornato in Serie A con il Brescia nel 2010?
“E’ stato un anno un po’ particolare. Io ero rientrato a Brescia dopo un’annata al Torino e avevo giocato la prima partita contro il Parma, in cui mi feci male. Volevano mandarmi via. Io trascorsi diversi mesi fuori rosa, poi tornai a giocare a dicembre in Coppa Italia, contro il Catania, e fu un disastro. Ci fu più di una scossa in panchina e io, al ritorno di Iachini, non giocai – me lo premise lui stesso, perché direttore e presidente si erano messi in testa non so cosa -. Ad ogni modo, quel campionato fu un gran bel riscatto, anche se purtroppo retrocedemmo pure in quell’occasione. Due partite chiave ci hanno condannato: un pareggio con l’Inter, quando, sul punteggio di 1-1, ci venne parato un rigore al 92’, ed un’altra gara terminata in equilibrio a Napoli, poiché anche lì sbagliammo un gol a porta vuota a tempo scaduto. Quella stagione, ad ogni modo, fu, come ho detto, una bella riscossa: ero sicuramente più pronto rispetto a quando avevo 22 anni”.
C’è stato qualcosa o qualcuno in particolare che ti ha spinto a trasferirti a Modena?
“Io ero svincolato e avevo avuto altre offerte, mentre il Modena aveva scelto come allenatore Marcolin, di cui avevo un bel ricordo da quando lavorava per il Brescia. Lui mi convinse ad approdare in gialloblu”.
Cos’hai provato quando sei stato nominato capitano dei Canarini?
“Quando diventai capitano del Modena, il secondo anno, non me lo aspettavo minimamente. Era andato via Armando Perna, una bandiera. C’era Novellino: quando me lo disse, mi fece ovviamente molto piacere, ne fui onorato. Sentivo un bel senso di responsabilità. In quella stagione feci gol più di una volta e perdemmo ai play-off con il Cesena. Essere il capitano dei Canarini è stato qualcosa di particolare, anche perché diversi ragazzi promettenti hanno poi spiccato il volo. Inoltre, fare il mediatore tra il presidente e il mister era divertente: passavo metà della domenica al telefono dopo le partite, però è stato bello”.
Quell’anno, tuttavia, non eravate partiti benissimo, infatti a metà campionato eravate 17°, poi però avete inanellato una serie di 16 risultati utili consecutivi e siete arrivati 5°, perdendo successivamente con i Bianconeri ai play-off, come hai detto un attimo fa. Che stagione è stata?
“Novellino arrivò con l’esonero di Marcolin l’anno prima e ci salvammo ad un paio di giornate dalla fine, quindi tutto abbastanza regolare. Onestamente, ho poca memoria dei primi 6 mesi, ma mi ricordo che giocammo la prima partita del girone di ritorno contro il Palermo, in trasferta. Ci parlammo in spogliatoio e prendemmo consapevolezza che non eravamo quelli. Dalla gara del Barbera in poi ci siamo compattati nel vero senso della parola – successivamente arrivò anche qualcuno a darci una mano, come Granoche e Tommaso Bianchi – e siamo arrivati a disputare queste semifinali, la cui sfida di andata ci ha visti privati di alcuni giocatori fondamentali, quindi non riuscimmo a centrare la finale, però è stato un gran bell’anno”.
Secondo te, se il pallone fosse entrato dopo la famosa traversa di Babacar, si sarebbe potuto ambire a qualcosa di più?
“Credo di sì, perché eravamo veramente forti quell’anno”.
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